Sara Rodolao
Opera 1^ Classificata
Il tramonto in attesa della sera
Alzheimer – A mia madre
Talvolta, nell’oscuro profondo della tua ragione,
dove il tempo e lo spazio sono verbi senza senso,
si apre uno squarcio e riemergi d’improvviso:
il fragore d’un tuono,
ti riporta la tua vita per attimi infiniti.
Girandola di ricordi come fuochi artificiali
s’innalzano nel cielo dell’incoscienza
e ti ridanno quadri del passato,
dipinti astratti dei giorni in cui c’eri.
Oh Mamma quanta tenerezza attraverso gli occhi ti raggiunge!
Rivivi l’ebbrezza
di ricordare il tuo nome e lo gridi finché hai voce!
Riconosci volti e voci di chi hai amato
e lacrime d’amore ti cadono sul seno.
Rendi grazie a Dio sull’Altare dei Templi.
Poi, lo squarcio d’improvviso richiude,
di tanto colore resta altrettanto buio
e lascia dentro te steccati senza varchi,
fino al nuovo arcobaleno ad unire schiarite e temporali.
Ridiscendi nell’inferno del silenzio,
resti sospesa al filo delle esistenze consumate,
senza sapere chi sei e neanche chi eri.
Il tuo Tramonto Mamma… in attesa della sera.
Margherita Flore
Opera 2^ Classificata
La vita è una sfida affrontala
S’allunga il pensiero al Celeste Infinito
dove le mie braccia
sono rimaste tocco di cielo
e io senza.
Mai scese a sostanza saranno voce
dentro l’anima mia fino al domani.
Ali di pensiero al posto delle mani
che insegnato hanno ai piedi a volare alto,
a stringere abbracci, a cogliere dal sole la vita
e aggambare il mondo avvinghiato a un filo
per non tradire chi mi voleva felice.
Nella culla
il mio alluce s’impigliava alla tua chioma,
segnava i lineamenti del tuo volto,
energia fluida fino alla punta delle dita
non so … se le braccia mi sarebbero servite.
Ora giovane, senza braccia amo,
tocco il sole, sento il canto più alto,
natura folle, con i sensi nei piedi vedo oltre
annullando ogni detto (sembra fatto …)
Con i piedi, accarezzo, assaporo,
rubo il polline ai fiori per colorare inverni,
l’Arte s’affolla in angoli distrutti
e nella mancanza
un assolo
come nessuno potrebbe
in archi di cielo e rari assoluti.
Capovolti equilibri con le mani nei piedi
sono un passo unico,
danzo una tastiera di opposti, bianco e nero
che m’avvitano a me stessa
e perforo l’impossibile.
Macigno rosa danzo la mia romanza:
fuga da pregiudizi e da ombre in una stanza
dove ho sepolto la collera e ogni Creazione seduce oltre le apparenze.
Chiara Sbrissa
Opera 3^ Classificata
Dare alla luce
Volevo immortalare il tuo ingresso nel mondo
ancora avvolto nel tuo spazio primordiale,
le membrane che ti avevano custodito per nove mesi
come il più prezioso dei doni.
Un luogo di puro amore all’interno del mio corpo
dove la tua vita era cresciuta ovattata al riparo da tutto.
Non volevi separarti dal piccolo universo
che era la tua sicurezza, il tuo rifugio, il tuo nutrimento.
Un legame che non volevi perdere
ma il distacco era il nuovo inno alla vita.
Ed eterno è stato l’attimo
in cui a pieni polmoni hai proferito al mondo
«Io ci sono».
Unico
fra 7 miliardi 864 milioni 264 mila.
Unica la linea dolce delle tue palpebre,
la piega rosata dei tuoi polsi,
la sagoma perfetta dei tuoi piedini.
I tuoi occhi hanno visto per la prima volta i miei,
brividi di stelle pullulare di gioia,
le mie lacrime condensate di incanto sgorgare sul mio viso.
In un momento per sempre
si era sigillata la linea che univa i nostri cuori.
Ti dissi di non avere paura:
quello spazio di puro amore si era fatto più grande,
lo sentivo gonfiarsi inarrestabile,
estendersi senza confini,
oltre i limiti della scienza e dello scibile umano.
Tu lo sentisti quell’amore infinito,
i tuoi occhi mi fissarono
e mi chiamarono con il nome più bello
«Mamma».
Emilia Fragomeni
Opera 4^Classificata
Fugace incanto
Irradiata da un sole senza tramonti,
senza limiti di spazi e di tempi,
l’isola verde apparve, tra l’incenso
di una pineta nelle mani della sera
e campanule lilla sulla ringhiera,
mentre l’ultima onda si scioglieva
nelle nuvole e il vento s’avviluppava
alle lancette di un prato senza tempo.
Noi intravvedemmo l’isola un mattino,
azzurra, emersa da innocenti acque,
che si offriva alla vista e al desiderio,
certa promessa di felicità.
Finestre aperte come ali spalancavano
in volo, senza confini, un dolce effluvio
di parole e suoni. Marinai brindavano
con l’acqua di sole, anime antiche
danzavano, lievi, le musiche degli avi.
Cantilene di suoni scivolavano dolci,
giochi di libertà sulle pagine della fantasia.
Ad essa volgemmo i nostri sforzi,
navigando con braccia tese ai remi.
Ma l’isola fuggiva all’orizzonte e
vano era l’affanno di raggiungerla,
nell’urgere dell’ora, dentro il candido
solco della prua.
Questa terra di basse scogliere sembrava
una preghiera genuflessa al mattino.
Ci rapì l’animo. Ma restò un miraggio.
Lontano è oggi l’isola, persa in mari
splendenti. Ma noi vaghiamo ancora.
E se gli occhi ne accarezzano le coste,
parole antiche ci ritornano alla mente,
ad addolcire il ritmo dei giorni.
Ma, sotto questo cielo trasparente,
solo le assenze dicono del tempo.
I fiori hanno rubato la voce ai pianti.
Lucio Postacchini
Opera 5^ Classificata
Un giorno di primavera
Poesia che nasce
Nel vento leggero,
In un giorno di sole
Di un marzo che muore,
Ma che inonda il campo
Di gentil primavera.
Si sente l’odore del tempo
Di passate stagioni,
D’anime assolte
E vibranti in farfalle
Che si posano lievi,
Come il passo di chi sente
L’incanto.
Vittorio Di Ruocco
Opera 6^ Classificata
Siamo anime di carta nell’abisso
Dedicata ai trentatremilasettecentosettantuno ebrei massacrati nel 1941,
in soli due giorni, dai nazisti nel fossato di Babij Jar (Kiev – Ucraina)
Siamo anime di carta nell’abisso,
nell’assoluto vuoto di parole
solo preghiere urlate senza voce.
Si spera che il Signore ci raccolga
da questa bolgia al centro dell’inferno
tra i demoni dagli occhi di metallo
e il fango mescolato al sangue vivo
che sgorga dalle nuche spalancate
dei miei fratelli sparsi tra le ossa.
L’alba non ha portato che tormento
e raggelanti urla di vendetta
piovuta all’improvviso su di noi
popolo stanco sparso per il mondo.
Croci uncinate ai bordi del cammino
che porta alla spianata del martirio,
è qui che trionfa il simbolo del male:
non c’è misericordia a Babij Jar.
Le raffiche di mitra sono falci,
mietono vite come verdi spighe
da consegnare al pozzo dell’oblio.
La luce è una terribile speranza
da catturare come il desiderio
di dare fuoco al fuoco della vita,
come acqua che zampilla nel deserto
per non versare lacrime nel vento.
Si canta per scacciare la paura
di non lasciare tracce di memoria,
si canta per eludere il tormento
di arrendersi restando ancora vivi
al maledetto abbraccio della morte.
Davide Rossi
Opera 7^ Classificata
Storia di una preghiera
Io sono il cielo azzurro come le tue pupille
Il sole che arde la plastica
Il vento che porta l’odore di cherosene sulla spiaggia
Sono il corpo che galleggia
Io sono il mare piatto
Le coperte termiche squarciate,
le navi affondate
Sono il sale che secca sugli scogli
Io sono i denti del licaone insanguinati
Il sangue rappreso sulla roccia
La morte violenta che colpisce
Sono l’ultima immagine del mondo
Io sono le dune che coprono le carcasse
I cammelli che le calpestano
Gli insetti che si nutrono
Sono i fiori che nascono
Io sono la rabbia che divora l’anima
La vendetta che la consola
La violenza in cui dimora
Sono lo stato che la reprime
Io sono l’amore dei ragazzi
Il bacio per strada, contro le porte della notte *
La luce che acceca il primo amore
Sono il buio che copre e scopre gli amanti
Io sono l’Africa
Scura, lontana e arrabbiata
Che scappa, violenta e rassegnata
Verso occidente, verso il tramonto.
Domenica Sammaritano
Opera 8^ Classificata
Ottobre 2021
Mimosa
È l’autunno il calore che ci avvolge
Appena chiusa la porta oltre la brughiera
Foglie di pioppi, querceti senza tempo
Colli di dolce ghiaia e il tuo respiro
La tazza che fumante mi allunghi del tuo tè
Ha il profumo dei sogni ritrovati fra le nebbie
Appena smossi di ricordi gli occhi traducono
Il cammino del tempo ritrovato.
È l’autunno che come sempre arriva
E ha i colori del suo giorno più bello
Quando s’accende al mondo ogni corallo
E sfuma nella sera ogni amarezza
Francesco Palermo
Opera 9^ Classificata
Come fuoco
Come fuoco fu il nostro andare,
arse di peccato le labbra che mordemmo
alla fiamma allegra dei sarmenti
che consumava passioni impetuose
ai ritmi incalzanti
delle nostre età vigorose.
Tutto bruciammo senza nulla salvare
ché come ristoro di rugiada
anche un fuoco talvolta disseta.
Fuggirò sempre il silenzio e suoi roghi
ché il non vivere m’atterrisce
e quand’anche acre diventasse,
come di fuoco che muore,
l’odore dei sogni delusi e dei tempi perduti
resterà un lento e tenero fumigare
e un libro quasi arso
ma ancora da sfogliare.
Silvia Brumana
Opera 10^ Classificata
Discontinuità
Ho seguito il fiume dentro di me,
La sua sorgente appare ora lontana;
A volte l’ho affiancato timorosa dalla riva,
Altre mi sono adagiata nella sua corrente.
Ricordo i terreni rocciosi su cui sono caduta,
La ricerca di un appiglio da tenere per mano;
Rivedo cieli tersi su valli screziate da pini,
L’illusione di sapere dove il suo corso mi portasse.
Non mi sono opposta al fiume,
Ha aperto in me vie che non avrei saputo disegnare.
Non ho tentato di fermarlo:
Come trattieni un fiume che desidera il mare?
Eppure, il cuore ha esitato al varco di terre straniere,
Quando sinuoso si è srotolato sotto quei confini
Ed è riemerso lontano dagli ambienti che conoscevo;
Un turbamento ha albergato in me per giorni.
Quelle discontinuità hanno generato in me il dubbio
Che il mio sé non fosse più reale,
Che i luoghi estranei in cui mi muovevo fossero miraggi,
Che il fiume avesse finito per soccombere ai detriti passati.
Talvolta un angolo remoto mi ha fatto credere
Che il mio vivere quei momenti
fosse necessario, ma non sufficiente
Per affermare che tali istanti fossero reali.
Nell’estraneità sono diventata di me alterità.
Allora il fiume ha voluto tornare un poco indietro,
Far scorrere la mano su rive già percorse,
Sanare i tratti interrotti.
L’eco di quelle discontinuità si era fatto potente
E i loro contorni aspri raschiavano il petto come fondali sassosi.
Seguo il fiume dentro di me, ché vede lontano
E il cui scrosciare talvolta in terre passate mi ancora alla realtà.
Sara Montiglio
Opera 1^ Classificata giovani
Mattina
«Sei felice con così poco»
Stamattina sono sveglia da un’eternità.
Con immensa facilità
i vostri lineamenti potrebbero
essere sovrapposti.
Nella mia testa,
un turbinio di emozioni
e dolcezza
e ciò che rende un risveglio
senza sonno
degno d’essere vissuto.
Grazie,
di avvolgere me
e le mie luci schive.
Poche gocce,
ancora una
che mi finisce il tempo.
Ed è mattina,
ed è distrazione
ed è voragine di perdizione
di ciò che davvero conta.
Ma le emozioni, per quanto dicano,
restano.
Ancora una goccia, per favore:
voglio sentire tutto.
Michelle Isabela Cotlogut
Opera 2^ Classificata Giovani
Andare avanti
Si distese di fianco a lei.
Stava guardando una notte fredda; gelida
tanto quanto la sua mano, che appena afferrata,
gli fece venire i brividi.
L’odore dolce di miele dei suoi capelli,
portato da una brezza leggera,
gli accarezzò il viso.
I ricordi riaffiorarono.
C’era silenzio, tanto silenzio.
L’unica cosa che sentiva erano le sue risate rimbombargli in testa.
Una lacrima gli inumidì nuovamente il viso.
Si avvicinò a lei, quasi per darle un ultimo bacio;
la baciò.
Le sue labbra erano marmate.
La lacrima che lentamente percorse suo viso,
cadde sulle sue labbra.
Quella lacrima diede vita ad un vortice di emozioni
facendolo singhiozzare ininterrottamente.
Adesso contemplava la luna.
Era pallida,
emanava una leggera luce bianca.
Così sussurrò
«Voglio tornare indietro,
fermare il tempo a quei bei ricordi di noi due,
alle tue risate, alle nostre litigate.
Ho promesso di amarti con tutto me stesso
fino a che morte non ci separi,
e anche se so di dover andare avanti
io ballerò.
Ballerò fino a che il tuo cuore ricomincerà a battere,
perché adesso parlo alla luna
cercando di condurre la mia voce a te,
sperando che anche tu, dall’altra parte
mi stia sussurrando».
Martina Ciambella
Opera 3^ Classificata Giovani
Prendo tutto e le sorrido
Lode alla vita,
per la bellezza di cui mi ha circondato,
per il sole, la luna e le stelle
che mi ha permesso di veder splendere.
Lode alla vita,
per tutti i fiori di cui ho potuto
vedere i colori e sentire gli odori,
per le foglie e i frutti degli alberi
che ho visto nascere, crescere e cambiare colore.
Lode alla vita,
per tutte le creature che ho
osservato, accarezzato e studiato
perché di una bellezza e audacia straordinaria.
Lode alla vita,
per ogni suono, parole o rumore che
ho potuto ascoltare,
a cui ho dato emozioni o colori,
a cui ho risposto con altrettanti soavi suoni.
Lode alla vita,
per le persone che quando mi sono
passate accanto sono diventate parte di me,
per gli istanti in cui ho potuto
essere per loro un’amica
una sorella, una confidente o una figlia.
Lode alla vita,
per l’audacia di cui mi ha fatto dono
e perché mi ha fatta sognatrice.
Lode alla vita,
per ogni suo dono di gioia o di dolore:
prendo tutto e le sorrido.
Alessandro Porri
Premio Speciale alla memoria di Augusto Robiati
Margherita
A tutte le donne vittime di amori malati
Margherita è solo una delle tante
Margherita ha sofferto
Margherita ha urlato e chiesto aiuto
Margherita si è sentita sbagliata
Margherita ha continuato a sperare
Margherita ha creduto alle promesse di tutti
Margherita ha provato a fuggire
Margherita è stata raggiunta
Margherita un giorno ha sfogliato i suoi petali
ed alla fine è risultato «non m’ama!»
Margherita ora non c’è più.
Patrizia Cozzolino
Opera vincitrice del Premio Autodromo Nazionale di Monza
E la corsa va
Si corre.
Si insegue un sogno.
Rovente è l’asfalto
che sfrigola sotto ruote impertinenti
a tratti irriverenti,
lanciano in avanti e indietro
boomerang di suoni roboanti
che arpionano sospesi silenzi
e spettatori increduli
con emozioni tutte da scrivere,
fogli bianchi svolazzano
sul tracciato delle vene e della pista
quasi un elettrocardiogramma
ad inchiostrare pause, battiti,
extrasistoli di rombi di motori
qualche volta infarti e cardiopalmi,
in corse spezzate a bordo pista
o nella curva di Lesmo,
pazzia di una passione che rimbomba
e corre fino a Lesbo
son farfalle che vogliono
volare in ogni dove
e cantare dell’amore
per traguardi sempre nuovi
e dalla porta del cielo dischiudere
un nuovo input,
un nuovo start.
Si ricomincia.
E la corsa va.